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"City": l'ultimo capolavoro di Baricco

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"City": l'ultimo capolavoro di Baricco

Daniela Mitta

red.: Liceo Classico "Piazzi"


Una città che al confronto Milano è un giardinetto pubblico. E' una città fatta di idee, fatta di storie, alcune ben costruite, lunghi vialoni alberati di vite ben incanalate nella direzione che le porta al loro destino, altre si perdono nel deserto dove c'è solo polvere, e vento implacabile, sempre (il vento è una ferita del tempo). Altre strade sono tortuose, sterrate magari, e il loro percorso è come quello di un fiume, che prima di arrivare dove deve si perde in curve e deviazioni inutili, tutti i fiumi, è stato scientificamente calcolato, tutti i fiumi prima di arrivare dove devono percorrono esattamente, a furia di curve, il loro percorso in linea retta per 3,14. E molte vite, in fondo, sono un fiume. Prima di arrivare si perdono per strada. Poi arrivano, ma prima, è come se dovessero, necessariamente, perdersi.
Baricco si è divertito da matti. Deve essersi divertito per forza, a improvvisarsi urbanista dell'anima e a tracciare su una pagina bianca tutte le strade che uno ha in testa, tutti i vicoli, i sensi unici, gli incroci, i semafori, i marciapiedi, le strisce pedonali. Non è facile, ma lui si diverte proprio. Quello che lo diverte di più è improvvisarsi quello che non è, cambiare ruolo, continuamente, modificare il suo punto di vista, intingere la realtà nel surreale, normalizzare le stranezze umane, soffermarsi sui particolari più insignificanti perché di solito sono gli unici a nascondere incredibili mondi paralleli, così capita che ti tiri fuori un suggestivo picaresco da un tacco nero perso per strada, o ti metta in piedi una storia di boxe per far capire che il tuo destino è lì, e non sai quando lo dovrai incontrare ma, tieniti pronto, che può essere in qualunque momento, anche in una finale del mondiale, nel bel mezzo di una quarta ripresa, il tuo destino può chiamarti e tu devi smettere di combattere, ti giri, e scendi dal ring. Gould (proprio, come il pianista, Glenn Gould, analogia sicuramente non casuale) è, del tutto teoricamente, il protagonista di City, ed è solo un ragazzino, intelligentissimo, in lista per il Nobel, che in realtà aspira solo ad essere una persona normale, e in parte lo aiutano Diesel (un gigante che desidera vedere il mondo ma è troppo grande per salire su un treno o un pullman) e Poomerang (cranio rasato, muto, tranquillo), che però non solo non esistono ma sono a loro volta personaggi tanto singolari e anormali da rendere quasi la solitudine di Gould ancora più stridente e silenziosamente, quasi inconsapevolmente, dolorosa. Poi c'è Shatzy Shell, carina, curiosa, anche lei incredibilmente sola, a tal punto da decidere di congiungere la sua solitudine con quella di Gould, diventando la sua governante, o qualcosa del genere. Il suo sogno è scrivere un western. E le viene anche da dio. Questo mi ha colpito, che Baricco sia riuscito a infilare una città del Far West, Closingtown, in una città dei giorni nostri, con autobus, telefoni e tutto il resto, che a sua volta sta in un libro che a sua volta sta nella testa di un autore, che poi arriva dritto dritto a pugnalare le menti dei lettori con la sua spada d'immaginazione, e sanguinavo pensieri, quando ho finito di leggere. Si sanguina anche perché non si riesce ad immaginare una finale più vicino alla completa dissolvenza di questo, e se vi capiterà (ve lo auguro) di trovarvi fra le mani City e di leggere le pagine (sublimi) sulle Nympheas di Monet capirete che questo non è un insulto, ma il più grande dei complimenti.

Ultima modifica: 05 giugno 1999