Superata
la decima e penultima bolgia, quella dei falsari,
Dante, scivolando in un lungo canalone, si
immette in quella conclusiva, l'undicesima, dove
si trovano le anime degli sportivi che, durante
la loro vita, hanno assunto sostanze dopanti in
dosi eccessive fino a morirne. Dante seguendo la
sua guida, Virgilio, si avventura con diffidenza
in quel luogo tenebroso, tra dannati che
debolmente soffiano e ansimano come mantici,
ridotti a fogli trasparenti e sottilissimi.
Siccome sulla terra, quando erano vivi, hanno
ingerito pillole e intrugli per aumentare le loro
prestazioni, ora sono ridotti, spianati al suolo,
in lamine flessibili senza forza né vigore.
Dante, mentre cammina, incontra molti dannati e
tra questi riconosce, per le unghie simili ad
artigli, la campionessa Florence Griffith, morta
d'infarto. La sua sagoma si alza debolmente e
vorrebbe scappare da una feroce e possente
pasticca che la immobilizza al suolo e la sta
arrotolando, facendo leva con forza sulla
sommità del capo. Dante non capisce ed allora
Virgilio lo invita ad osservare le centinaia di
buche che crivellano le pareti della bolgia
infernale, dove sono infilate le anime, avvolte e
piegate come fossero sottili fogli di papiro
pronti per essere usati. In quel mentre, una
ripugnante pillola giallastra, dagli occhi
melmosi e cascanti, afferra per un'estremità la
povera Griffith, appena infilata nella buca 273,
la strappa e la riduce in tanti, minutissimi
frammenti cartacei che piovono al suolo come
coriandoli. La stessa sorte tocca alle altre
anime, che lacerate, tra urla, strepiti e
lamenti, si ricompongono poi velocemente,
adagiandosi al suolo immobili, come fossero
semplici tappeti. Il loro strazio, inutile
ribadirlo, perdura in eterno.
Dante e Virgilio sconcertati, con il capo
infossato tra le spalle, nel vano tentativo di
proteggersi da quella fitta e viva
pioggia, si avviano verso il Pozzo dei
Giganti, mentre nell'oscurità della bolgia le
pillole festeggiano il loro macabro Carnevale.
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