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Rapida e concitata la
manovra di accostamento. Ancora quell'oscuro,
greve silenzio, poi, a soli pochi piedi di
distanza, si udì nuovamente quel tronfio
sogghigno che echeggiava beffardo tra le vele
sfatte del veliero, altalenante tra le nebbie
come uno spettrale simulacro di morte. E subito
l'equipaggio, abbacinato dalle vuote paure che
albergano nel fondo di ognuno, fu facile preda di
scomposte, allucinate visioni di una inenarrabile
naumachia, sopraffatto dal furioso cozzare vicino
dei legni, dal fragore assordante di cento bocche
di fuoco che vomitavano fiamme e sangue sul
corrotto candore sgualcito dei velacci, tra
gabbia e pennone, mentre il bompresso oscillava
paurosamente fino a sfiorare l'onda selvaggia.
Ovunque il furore dell'arrembaggio: truci
predatori del mare si lanciavano con violenza
inaudita nella mischia ferina, scivolando lungo
funi malferme, uncinando un aggancio sicuro per
l'assalto sul ponte. Alcuni raggiungevano a nuoto
la chiglia issandosi a bordo a forza di braccia,
sventrando chiunque si opponesse al loro
abbordaggio, mentre altri premevano con foga
sotto gli angoli fessi della randa sfrangiata a
colpi di spingarda. No, niente di tutto questo.
Di colpo tutto sprofondava nel più assurdo
silenzio, nella più cupa desolazione
dell'abbandono. Sulla vecchia imbarcazione non
s'avvertiva anima viva. Solo gli albatri,
sgraziati dèi cadenti di un Olimpo quanto mai
vicino, fronteggiavano le lunghe ombre della
prora che s'incuneava tra la spuma verdemarcio
dell'Atlantico.
Fu in quel momento che dal nostro pennone più
alto risuonò un altissimo, formidabile grido:
"Terra, terra, terra a babordo!!"
Finalmente! L'emozione violenta fioriva tra mille
espressioni di gioia troppo a lungo ingabbiata,
incontenibile come un fiume in orgasmo. Ed eccola
lì l'America, di fronte a noi, dinanzi ai nostri
occhi sgranati, un fazzoletto di terra
indistinto, dapprima solo un puntino nero
all'orizzonte, poi i contorni si fecero sempre
più nitidi.
Chiudemmo gli occhi, deglutendo a fatica, ancora
increduli, poi li riaprimmo con fede: davanti a
noi, nel sole, unisola, due, dieci, forse
cento isole, mai segnate da carte nautiche ci
apparivano come acqua sorgiva a chi scampa
allarena infuocata.
Era dunque questa la meta prevista dal nostro
destino? La fine del nostro ardimentoso viaggio,
l' approdo sicuro in cui gettare infine
lancora, il termine del travagliato cercare
dei giorni più neri, dei naufraghi pensieri di
una notte senza fine? No, non s'arrestava certo
lì il corso dell'impresa, di fronte allo
sterminato arcipelago dai lussureggianti palmizi,
dai crinali fronzuti che emergevano tra nudi
contrafforti rocciosi aperti al nostro sguardo
sazio, cristallizzandosi tra le più quiete acque
del grande Golfo, avamposto dei futuri destini
del nuovo mondo da esplorare.
Eppure erano ormai quattro lune che la ciurma non
conosceva soste nella sua navigazione errabonda
tra sponde malfide. Ma ora forse era tempo di
sciogliere gli ormeggi e di tornare, di volgere
la rotta verso il sole, c'era chi aspettava con
trepidazione di conoscere la sorte dei suoi cari.
Forse era il tempo di passar la mano ad altri
dalle spalle larghe e dalla mente aprica, dalla
penna e dal cervello fini.
O forse sarebbe venuto ancora il tempo per altre
nuove imprese.
Chissà.
Ma certamente non ci sarebbero più stati re e
regine dai vasti imperi a porre fini e
condizioni. Noi avevamo solo solcato la via,
tracciato la rotta, avevamo appena aperto il
libro della conoscenza e la storia non attendeva
altro che iscrivere sulle sue pagine intonse le
sue memorie.
Consci dell'alto lignaggio della nostra impresa,
fieri per aver varcato quella "foce
stretta dove Ercule segnò li suoi
riguardi", avevamo navigato "diretro
al sol del mondo sansa gente", non per
vanto personale, né per gloria onnipotente di
chi commissionò la traversata, intuendone forse
in parte gli esiti, ma pur prevedendone
indiscutibili vantaggi, né per sfregio di chi
non aveva inteso seguirci nell'impresa
semplicemente perchè non aveva voluto crederci,
ma solo per "seguir virtute e canoscenza"
e per poter dire un giorno con fierezza:
"Io c'ero nel cuore dell'oceano, sulle
marce, umide assi di quella caravella che ci ha
condotto verso lidi inusitati, verso mondi
ignoti, e su quei legni ci ho lasciato il segno!" |
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