Il primo mensile italiano interamente redatto da studenti e distribuito anche su rete

 
 
La Redazione Il Sommario Lettere al giornale

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Diario


Diario di Bordo

Dal "Diario di bordo":

Una terra chiamata "America"

Nello Colombo

direttore

illustrazione: Anna Maria Goldoni

Rapida e concitata la manovra di accostamento. Ancora quell'oscuro, greve silenzio, poi, a soli pochi piedi di distanza, si udì nuovamente quel tronfio sogghigno che echeggiava beffardo tra le vele sfatte del veliero, altalenante tra le nebbie come uno spettrale simulacro di morte. E subito l'equipaggio, abbacinato dalle vuote paure che albergano nel fondo di ognuno, fu facile preda di scomposte, allucinate visioni di una inenarrabile naumachia, sopraffatto dal furioso cozzare vicino dei legni, dal fragore assordante di cento bocche di fuoco che vomitavano fiamme e sangue sul corrotto candore sgualcito dei velacci, tra gabbia e pennone, mentre il bompresso oscillava paurosamente fino a sfiorare l'onda selvaggia.
Ovunque il furore dell'arrembaggio: truci predatori del mare si lanciavano con violenza inaudita nella mischia ferina, scivolando lungo funi malferme, uncinando un aggancio sicuro per l'assalto sul ponte. Alcuni raggiungevano a nuoto la chiglia issandosi a bordo a forza di braccia, sventrando chiunque si opponesse al loro abbordaggio, mentre altri premevano con foga sotto gli angoli fessi della randa sfrangiata a colpi di spingarda. No, niente di tutto questo.
Di colpo tutto sprofondava nel più assurdo silenzio, nella più cupa desolazione dell'abbandono. Sulla vecchia imbarcazione non s'avvertiva anima viva. Solo gli albatri, sgraziati dèi cadenti di un Olimpo quanto mai vicino, fronteggiavano le lunghe ombre della prora che s'incuneava tra la spuma verdemarcio dell'Atlantico.
Fu in quel momento che dal nostro pennone più alto risuonò un altissimo, formidabile grido: "Terra, terra, terra a babordo!!"
Finalmente! L'emozione violenta fioriva tra mille espressioni di gioia troppo a lungo ingabbiata, incontenibile come un fiume in orgasmo. Ed eccola lì l'America, di fronte a noi, dinanzi ai nostri occhi sgranati, un fazzoletto di terra indistinto, dapprima solo un puntino nero all'orizzonte, poi i contorni si fecero sempre più nitidi.
Chiudemmo gli occhi, deglutendo a fatica, ancora increduli, poi li riaprimmo con fede: davanti a noi, nel sole, un’isola, due, dieci, forse cento isole, mai segnate da carte nautiche ci apparivano come acqua sorgiva a chi scampa all’arena infuocata.
Era dunque questa la meta prevista dal nostro destino? La fine del nostro ardimentoso viaggio, l' approdo sicuro in cui gettare infine l’ancora, il termine del travagliato cercare dei giorni più neri, dei naufraghi pensieri di una notte senza fine? No, non s'arrestava certo lì il corso dell'impresa, di fronte allo sterminato arcipelago dai lussureggianti palmizi, dai crinali fronzuti che emergevano tra nudi contrafforti rocciosi aperti al nostro sguardo sazio, cristallizzandosi tra le più quiete acque del grande Golfo, avamposto dei futuri destini del nuovo mondo da esplorare.
Eppure erano ormai quattro lune che la ciurma non conosceva soste nella sua navigazione errabonda tra sponde malfide. Ma ora forse era tempo di sciogliere gli ormeggi e di tornare, di volgere la rotta verso il sole, c'era chi aspettava con trepidazione di conoscere la sorte dei suoi cari.
Forse era il tempo di passar la mano ad altri dalle spalle larghe e dalla mente aprica, dalla penna e dal cervello fini.
O forse sarebbe venuto ancora il tempo per altre nuove imprese.
Chissà.
Ma certamente non ci sarebbero più stati re e regine dai vasti imperi a porre fini e condizioni. Noi avevamo solo solcato la via, tracciato la rotta, avevamo appena aperto il libro della conoscenza e la storia non attendeva altro che iscrivere sulle sue pagine intonse le sue memorie.
Consci dell'alto lignaggio della nostra impresa, fieri per aver varcato quella "foce stretta dove Ercule segnò li suoi riguardi", avevamo navigato "diretro al sol del mondo sansa gente", non per vanto personale, né per gloria onnipotente di chi commissionò la traversata, intuendone forse in parte gli esiti, ma pur prevedendone indiscutibili vantaggi, né per sfregio di chi non aveva inteso seguirci nell'impresa semplicemente perchè non aveva voluto crederci, ma solo per "seguir virtute e canoscenza" e per poter dire un giorno con fierezza:
"Io c'ero nel cuore dell'oceano, sulle marce, umide assi di quella caravella che ci ha condotto verso lidi inusitati, verso mondi ignoti, e su quei legni ci ho lasciato il segno!"