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Spettacolo

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I Blur da una galassia all'altra

Quattro demoni del fuoco

Travolgenti e unici i tredici brani del nuovo CD del gruppo inglese

I Blur da una galassia all'altra

Daniela Mitta

red.:Liceo Classico "Piazzi"


Praticamente, un delirio.

Molto sperimentale, molto strano, molto diverso, molto dissonante, molto eterogeneo, molto anticonformistico, molto, molto bello. I Blur sembrano proiettati verso lo spazio (e infatti nel secondo indescrivibile pezzo, “Bugman”, dichiarano apertamente: “Space is the place”…): onde sonore che rimbalzano da una galassia all'altra, si propagano allungandosi, distorcendosi, comprimendosi, dimenticandosi spesso della serena normalità di un accordo di chitarra “pulito”, che faccia bene all'anima anziché stracciarla come un foglio di carta. La batteria asseconda le follie alienate degli altri strumenti, mai uguali a se stessi, sempre in evoluzione, sempre in viaggio da una dimensione sonora all'altra.
Praticamente ogni pezzo ha un epilogo che traccia il profilo di un luogo lontano anni luce da quello in cui sei stato poco prima, come se attraverso la musica stessi viaggiando a velocità impensate in posti mai visti; nessuno dei territori sonori di questo album è già stato esplorato, non è pop, non è rock, non è niente di prevedibile o conoscibile o banale. E' spazio. E' come se i Blur si fossero abbandonati a fantasticherie iperuraniche, guardando l'infinito con gli occhi della loro musica, anche la calda, avvolgente, profonda voce di Damon Albarn diventa indefinibilmente elastica, estensibile, quasi inumana.
Sono curiosa di sapere come dal vivo riusciranno a rendere tutto questo, come cercheranno di far arrivare dritto quello che suonano alla gente, senza che ci debba pensare su troppo.
Non è un album facile, da capire. Se vi piacciono Britney Spears, Massimo di Cataldo o gli Oasis evitate di comprarlo, perché i Blur hanno cavato fuori da quelle loro menti geniali un capolavoro che sfugge ad ogni convenzione precostituita e, sicuramente, a molti sforzi di comprensione.
Tutti e tredici i pezzi sono sorprendenti, mai banali, stridenti, alternano sconfinata dolcezza a sconcertante violenza, come i Blur hanno sempre cercato di fare, anche negli album precedenti, per destabilizzare chi ascolta, ma mai così deliberatamente.
Credo ci sia della pazzia pura che scorre, inondando le orecchie e i cervelli devastati da illogiche asimmetrie sonore, e neanche poi tanto sottopelle. Non è musica che ti scivola via facilmente, che puoi fare a meno di ascoltare con attenzione, che puoi tenere di sottofondo. La sensazione che ti lascia gocciolare nell'animo come da un rubinetto che perde è la stessa che si proverebbe nel vedere un quadro di Seurat straziato da un'estremità all'altra da una riga tracciata da un Uniposca nero. Senza righello. Devi sforzarti di capire, scavare e cercare. E non sconcertarti se quello che trovi è pazzia. Pura.
Dopo “Tender”, lo stupendo primo singolo estratto dall'album, ci si ritrova immersi in chitarre che ronzano come aspirapolveri, in una dimensione ultraterrena, che echeggia anche in altri pezzi, in modi sempre diversi, come in “Battle”, atmosfere da assenza di gravità. Dopo qualche altro brano si inizia a pregare che quello successivo sia “normale”, esattamente come dopo i primi dieci minuti di “Salvate il soldato Ryan” si inizia a pregare che nel minuto successivo la guerra finisca.
E' la stessa follia straziante, dilacerante. Follia aerospaziale proiettata verso l'infinito di quattro ragazzi inglesi. Quattro ragazzi inglesi che all'interno del libretto non scrivono neanche i loro nomi, o gli strumenti che suonano, ma solo che la copertina è il particolare di un quadro di Graham Coxon, il chitarrista del gruppo. Constatato questo, ti dici che a loro non frega niente di niente. La gloria, il successo, l'adorazione dei fan, roba da Backstreet Boys. Ai Blur interessa solo la loro musica e gli infiniti spazi che riescono a creare manipolando argillosi impasti sonori con la loro pazzia ormai dichiarata e conclamata. Forse, c'è un nome, per tutto questo: Arte.

Ultima modifica: 02 maggio 1999