Cultura
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L'Amico
fidato
Valentina
Cama
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red.:
Scuola Media Piazzi
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C'era una volta
no! Non
posso iniziare così, se no penserete che è una fiaba
come tante altre.
Tanto tempo fa, quando le foreste erano ancora fitte,
l'acqua dei ruscelli ancora limpida e si sentiva il
profumo della libertà e della natura, ai margini della
brughiera viveva Runy, un ragazzino lentigginoso un po'
selvatico, dalle lunghe orecchie, i capelli rossi
arruffati su un naso paonazzo per via delle notti
trascorse tra i rami di un grande castagno.
Da lassù si sentiva padrone del mondo mentre osservava
il tramonto o le nuvole vaganti che, lentamente, si
dissolvevano fino a scomparire nel profondo della notte.
A soli 5 anni aveva dovuto imparare a cavarsela da solo,
ma gli bastava poco per sentirsi soddisfatto: quattro
assi tra gli alberi, un caldo fuoco che lo scaldava e lo
rassicurava quando il freddo si faceva pungente e le
mille voci del regno notturno che si animava al chiarore
lunare. Il buio poi lo faceva addormentare sotto una
dolce copertina di foglie. Eppure c'era qualcosa che lo
rattristava.
Un giorno uno
sparviero si posò sul suo albero.
- Perché sei così triste? So cosa cerchi: un amico, e
io so dove trovarlo. Vieni, sali sulla mia schiena!
L'uccello spiccò il volo verso il cielo. Il mondo
sembrava così piccolo da lassù. Runy planava tra nuvole
soffici, scorgeva il sole rosso come una grossa palla
infuocata, più viva del fuoco che brillava ogni sera
nella foresta a cui si sentiva quasi strappato.
- Dove mi stai portando? - chiese Runy.
- Nel villaggio di Greend, la valle degli specchi, lì
sì che troverai un amico vero,
o almeno me lo
auguro!
- Se lo dici tu! Ma dov'é questo villaggio? - Eccolo
laggiù , che te ne pare?
Davanti a loro si stendeva una valle incantevole
disseminata di grossi cristalli abbaglianti. Tutt'
intorno migliaia di specchi argentei rilucevano come
mille soli. Runy si fermò davanti a un grosso geode di
ametista che proteggeva l'entrata di una grotta. Non
fecero in tempo ad avvicinarsi che una voce tuonò:
- Chi siete? Cosa fate qui? Che cosa volete?
- Ho paura - disse lo sparviero.
- Ma non mi avevi detto che ci eri già stato? - replicò
il bambino.
- Non è vero, l'avevo visto dall'alto, ma
dai,
corri che c'inseguono!
- Troppo tardi, mi hanno preso, scappa tu finchè sei in
tempo.
Lo sparviero non se lo fece ripetere e volò via, appena
un attimo prima che il pesante masso si chiudesse alle
sue spalle. Runy si divincolava come una serpe non
comprendendo il motivo della sua cattura.
In silenzio fu condotto in un sala maestosa dai muri
rilucenti d'oro. Oggetti preziosi dappertutto: perle e
gemme preziose pendevano da grossi vasi di vetro. Al
centro c'era il trono, imponente, tempestato di pietre
preziose, su cui sedeva un uomo vestito maestosamente con
un lungo mantello di porpora e una corona d'argento sul
capo: era il re. Le guardie obbligarono il ragazzo a
prostrarsi davanti al sovrano che ordinò:
- Straniero, sarai rinchiuso nella torre dei Pardi fino
alla fine dei tuoi giorni. - Ma, maestà, io non ho fatto
niente, perché volete punirmi?
Il re, senza una parola, gli porse uno specchio, poi si
voltò. Runy afferrò titubante lo specchio e vide la sua
vita scorrergli dinanzi in un attimo.
Ora capiva perché tutti lo avevano respinto e
abbandonato: era per il colore della sua pelle! Non un
muscolo del suo corpo si tese, rimase impietrito, poi
abbassò lo sguardo, avvilito. Fu condotto lungo un buio
corridoio che portava alle segrete, dove fu scaraventato
come un sacco vuoto. La prigione non era spaziosa , ma
aveva una finestra protetta da sbarre solide come
diamanti.
- Meno male, da qui potrò almeno osservare la foresta.
Ma non era solo: alle sue spalle su un giaciglio di
paglia c'era un ragazzo bianco che sembrava
dormisse: gracilino, smunto in viso, con una giacchetta
logora, i piedi nudi. Runy lo scosse.
- Ti ho fatto paura?
- No, perché dovrei averne? - e gli sorrise. - Io sono
Andrea
e tu?
In breve diventarono amici, amici di sventura. Andrea
aveva pagato a caro prezzo il suo coraggio per aver osato
ribellarsi alla crudeltà del re Hamelik, prendendo le
difese di una povera donna che aveva rubato per i suoi
figli che morivano di fame, una manciata del grano
destinato a ingrossare i silos imperiali.
Dei rumori attirarono i due sventurati: era lo sparviero
che col suo fragile becco cercava di scalfire l'algido
cristallo delle sbarre. Fu un lavoro lungo e paziente, ma
alla fine i due ragazzi spiccarono il volo sulle fragili
ali del loro amico. Man mano che si allontanavano dal
regno degli specchi, la libertà sembrava a portata di
mano, quando una freccia micidiale scoccata dall'alto
della torre trapassò da parte a parte l'ala destra del
falcone che si piegò per il dolore impennandosi in
picchiata. Ma, a pochi metri dal suolo, trovò la forza
per planare, adagiando i suoi giovani amici senza
scossoni sulla piana erbosa. Inutile qualsiasi tentativo
di fuga: ben presto si trovarono circondati dagli
armigeri. Ma uno squillo imperioso di trombe gelò il
sangue degli inseguitori.
I cavalli s'impennarono, arretrando impauriti. Il giovane
principe Azim, creduto morto durante la spedizione in
alta Scozia, ritornava per riprendersi il trono usurpato
dall'odioso duca Hamelik che non aveva esitato a
liberarsi con l'inganno e col sangue dell'incomodo
vecchio re, a suo dire, troppo indulgente col suo popolo.
Ci fu un lungo inseguimento fino alla scogliera che si
affacciava sull'oceano rigonfio.
Il maligno usurpatore, schiumante di rabbia, sferzò
nervosamente il suo nero destriero, galoppando
controvento, ma, accecato dal sole meridiano, non si
accorse quasi del precipizio che l'ingoiò con tutte le
sue guardie. Di colpo l'intera valle s'incrinò in una
miriade di pezzi e, dall'anima tagliente dei mille
cristalli, spuntarono alberi e fiori. Tra Runy e Andrea
nominati suoi fidi consiglieri, il principe Azim
sentenziò dinanzi a tutto il suo popolo festante:
Mai più nel mio regno esisteranno divisioni, né
differenze tra neri e bianchi, ricchi e poveri
e su
questo si ponga il mio sigillo per sempre!
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