Arte
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Fabrizio De Andrè:
un cantante, un poeta
Martino Cornaggia
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red: Liceo Classico
"Piazzi"
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Lunedì 11 Gennaio 1999 Fabrizio De
André se ne è andato in silenzio, così come era solito
fare: mai sotto i riflettori, mai al centro
dell'attenzione, schivo e avaro, avarissimo di
apparizioni in TV; non si può dire però che sia stato
avaro nel regalarci tante emozioni e spunti di
riflessione.
Un uomo libero, attaccato alla sua Liguria e alla sua
gente di mare, un anticonformista, un anarchico puro che
ha cantato per più di trentacinque anni le miserie e le
gioie della vita.
La morte se lo è portato via, la morte, tema ricorrente
nelle sue canzoni, che come diceva lui non ti guarda in
faccia; che di volta in volta assume sfumature diverse:
può essere allegra, come quella del burlone che non
aspetta altro per fare l'ultimo scherzo ai suoi parenti
nella lettura del testamento; o tranquilla e sorridente
come quella del vecchio pescatore, vittima di un
assassino sulla spiaggia.
Ma la morte è anche quella tragica di Piero, il soldato
mandato in guerra, che aveva paura di imbracciare il
fucile, o quella romantica di Marinella, una ragazza
caduta in un fiume dopo aver conosciuto l'amore, o la
vicenda di Michè, suicida in carcere perché non riesce
a vivere senza l'amata.
Persino Gesù Cristo e la sua Passione diventano
protagonisti; la morte del figlio di Dio è vista
attraverso gli occhi sofferenti di Tito, uno dei ladroni
crocifissi con Lui, che incarna le sofferenze dei più
umili e diseredati.
Il cantante, pur dichiaratamente ateo, soffre di fronte
alla condanna ingiusta di Cristo. Quindi, con la stessa
profondità, nelle sue ballate prendono vita storie di
emarginati, prostitute, ubriaconi, pellirossa, re e
regine, canta la morte del soldato e quella del Messia,
quella della prostituta e quella del re: tutti sono
uguali davanti alla Signora vestita di nero.
In questo modo vuole volgere lo sguardo a quelli che lui
si è scelto come compagni di viaggio, i respinti , i
non vincenti, che attraverso i suoi testi si
svelano acquistando una loro dignità, spesso negata dai
valori dominanti di ogni epoca. È sempre con loro, per
dare voce a un altro mondo che di solito non
viene preso in considerazione, come nell'opera Non
al denaro, né all'amore, né al cielo in cui
ispirandosi liberamente all'Antologia di Spoon River di
Lee Masters musica la vita di alcune persone: il
blasfemo, il giudice, il chimico, il matto, il malato di
cuore
: la vita come interpretazione personale,
fuori da schemi sociali o religiosi: il blasfemo
rappresenta il vivere senza regole cercando di
smascherare le menzogne e le illusioni della religione,
mentre il chimico, riponendo la massima fiducia nelle
relazioni fra gli elementi, non comprende il significato
dell'amore.
De Andrè canta la necessità profonda dell'uomo di
uscire dagli schemi, di vivere liberamente e di
combattere contro le ingiustizie. Altro tema ricorrente
è l'amore, ma anche qui si differenzia, cercando di non
banalizzare: non scrive dichiarazioni d'amore o
invocazioni alla donna amata soffermandosi su amori
strani ma profondi della gente comune. Amori
che vanno e amori che vengono, amori rubati, amori
perduti, amori felici, amori che comunque nascono dal
cuore e che trovano alle volte una corrispondenza divina.
Ma l'amore è anche un tema sul quale scherzare o
burlarsi, aspetti che emergono molto bene dalle ballate
del cantautore che spesso e volentieri sa essere ironico
e astuto.
Si può notare un certo attaccamento alle piccole cose
della vita che spesso sono immensamente più
significative di quelle grandi: dai diamanti non nasce
niente, dal letame nascono i fiori.
Spero tanto che Fabrizio non verrà dimenticato, anche se
non diventerà mai (per fortuna!) un mito da magliette e
poster.
La sua lezione non andrà persa, ogni singola canzone
rimarrà dentro di noi e ci spingerà sempre a seguire la
nostra rabbia, la nostra eterna ricerca della giustizia e
della libertà.
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