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Arte

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"Novecento" sulle ali dell'oceano

Gente assurda un sacco brava!

Zorba, "er gentilgatto"

Eugenio Allegri grande interprete del monologo di Baricco

"Novecento" sulle ali dell'oceano

Francesca Togni

red: Liceo Linguistico "Perpenti"


Le parole hanno preso vita, forza e grazia, hanno cominciato a danzare, a muoversi a ritmo di jazz, modulate, cantate, seguendo le note di un pianoforte stregato. Quello di “Novecento”, naturalmente.
Nell'intervista dopo lo spettacolo al “Pedretti” di Sondrio, Eugenio Allegri ci ha raccontato di come lui stesso abbia chiesto a Baricco di scrivere qualcosa da portare in teatro, un monologo per lui. Così “Novecento” ha preso forma e Allegri, nei panni del narratore, del trombettista amico inseparabile di Novecento, ha ideato una messa in scena dove parole e note si stringono e si accompagnano creando con la storia, musica e voce del pianista Novecento.
“Il più grande di tutti”, Novecento, dato alla luce sul grande transatlantico “Virginian” nel 1900, abbandonato dai veri genitori, probabilmente poveri emigranti, nella sala da ballo di prima classe (proprio sopra al pianoforte!) e, accudito dal buon Danny, non era mai sceso dalla nave.
Dopo la morte dell'amico, Novecento, che aveva solo 7 anni, si era nascosto per paura di essere cacciato dalla nave. L'equipaggio era diventato matto per trovarlo, quando di notte una musica di una bellezza mai nata prima aveva cominciato a diffondersi strisciando, giocando, attraverso i corridoi dell'intera nave. Era lui che suonava, e non si sapeva dove avesse imparato. L'unica cosa certa era che lui stava suonando, e che quella era una musica profonda, meravigliosa, qualcosa di mai sentito. E da quel giorno Novecento era rimasto sulla nave e aveva sempre suonato, in I come in III classe, perché suonare era tutto ciò che desiderava. E in quanto a scendere dalla nave: mai. Lui la sua vita se l'era costruita pezzo per pezzo, conservando dentro di sé le vite di ogni persona con cui aveva diviso qualche attimo, le vite di chiunque gli avesse regalato un racconto o un ricordo. E la sua vita poteva forse dirsi più completa e intensa di quella di qualsiasi altra persona, perché era la sintesi del meglio delle vite altrui. Una sintesi personalissima comunicata al mondo attraverso il piano.
La sua filosofia confidata solo all'amico trombettista, era bella e difficilissima: lui voleva rinunciare poco a poco alla vita, rinunciando volta per volta ai suoi sentimenti. Rinunciare all'amore suonando tutta la notte per una donna bellissima che non avrebbe mai conosciuto; rinunciare all'amicizia suonando per l'ultima volta con l'amico trombettista; rinunciare ad essere padre guardando un bambino morire e tenendogli la mano, per essere “l'ultima cosa che vedesse in vita”. Allora l'amore, l'amicizia, ogni sentimento, ogni stato, gli scivolavano dolcemente addosso, lui ci aveva rinunciato, non li avrebbe più incontrati: ma li aveva veramente provati, li aveva avuti e li avrebbe sempre conservati nella sua anima.
Quello di Novecento è un modo nuovo, enigmatico come lui, forse incomprensibile di vivere la vita, ma diverso da tutto, e veramente unico.

Ultima modifica: 02 maggio 1999