Il primo mensile italiano interamente redatto da studenti e distribuito anche su rete

La Redazione Il Sommario Lettere al giornale

.

Società

"Arbeit macht frei":
la fabbrica della morte

Viviana Fancoli

red.: Liceo Classico "Piazzi"


Il campo di concentramento di Dachau, a circa 15 km da Monaco, fu aperto nel 1933, su ordine dello stesso Himmler, capo della polizia tedesca, che si dichiarava certo di agire “per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio”. Sono rimaste poche tracce dell'inferno nel quale si era trasformato. Tutto è stato “ripulito” e reso asettico, forse consapevolemte. È infatti difficile immaginare che nel cortile deserto, delimitato dal filo spinato, si accalcavano oltre 12.000 persone. È stata ricostruita solo una delle 30 baracche che fungeva da dormitorio. Delle altre, che si affacciavano su un ampio viale alberato, definito ironicamente il “viale della libertà”, sono rimaste solo le fondamenta.
Ad di fuori del perimetro originario del campo, si trova il complesso del crematorio, composto dalla camera a gas mascherata da doccia, che tuttavia non ha mai funzionato, e i forni, costruiti dagli stessi prigionieri. Tutto l'insieme è stato realizzato con la precisione e l'efficienza che contraddistingue il popolo tedesco: gli Ebrei, razza “patogena” per eccellenza, sono stati vittime di un sistematico piano di sterminio, definito eufemisticamente “la soluzione finale”.
I campi ospitavano varie categorie della società che venivano chiaramente distinte con il contrassegno colorato sulla divisa. Per gli Ebrei, che erano il gradino più basso della gerarchia creatasi all'interno del lager, che vedeva al primo posto i criminali comuni, non era prevista né la rieducazione, né la sottomissione, ma soltanto l'eliminazione.
Nel museo sono contenuti i cimeli dei prigionieri. Gli ingrandimenti delle fotografie documentano la situazione del campo quando fu liberato dalle truppe alleate, immagini diventate tristemente celebri. Ci sono anche altre fotografie meno note, scattate dagli ufficiali nazisti, sulla vita quotidiana nel lager e sugli esperimenti “scientifici” effettuati sui prigionieri.
Il cancello con la sua inferriata è stato spostato dall'ingresso nell'interno del museo. La scritta “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”) che accoglieva i prigionieri con lugubre ironia, è diventata il simbolo stesso dell'orrore del lager e della follia nazista che occultava la sua sete di sangue dietro il pretesto di una falsa “purificazione” del mondo.

Ultima modifica: 02 maggio 1999